Quando studiai letteratura tedesca all’università un libro di Heinrich Böll faceva parte del programma. Era Foto di gruppo con signora. Ma fu con Opinioni di un clown, qualche anno dopo, che l’autore seppe davvero conquistarmi. Non ho letto altro per anni, come spesso mi accade quando percepisco un libro come talmente definitivo che sono sicura non potrà piacermi altro. In questi casi mi do tempo. Ne era passato abbastanza quando presi in mano il Diario d’Irlanda, un racconto di viaggio.
L’autore viaggiava sulle tracce dei suoi scrittori preferiti ma anche alla ricerca di un paese autentico e incorrotto dopo gli orrori della guerra. Mentre nei suoi romanzi raccontava il sentimento post-bellico di personaggi persi tra sensi di colpa, ipocrisie e bisogno di rinascita, andava cercando altrove qualcosa che fosse rimasto intatto.
Su quest’isola abita l’unico popolo d’Europa che non ha mai intrapreso guerre di conquista.
Partì con la famiglia nel 1955 (il libro è di due anni dopo) e raccontò un’isola di cui è facile innamorarsi. Dei suoi paesaggi selvaggi e inzuppati, delle sue città tenebrose, delle coste battute dal mare in tempesta e dei personaggi che incontrava. Dipinse una terra prostrata da povertà e emigrazione ma aggrappata alla sua bellezza e ben decisa a proteggerla. Una terra aspra e dolce insieme. Il suo canto d’amore per l’Irlanda inizia con un’avvertenza:
Questa Irlanda esiste ma chi ci va e non la trova, non può chiedere risarcimenti all’autore.
Ti va una passeggiata sotto la pioggia irlandese?
Dove: Irlanda
Quando: 1955
Titolo: Diario d’Irlanda
Autorə: Heinrich Böll
Traduzione: Massimiliano Marianelli
Editore e anno: Mondadori 2017
Genere: diario di viaggio
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