Prima di arrivare a questo libro conoscevo già l’autore perché ascoltavo il suo podcast. Theodoros Papakostas è un archeologo e un divulgatore di antichità. Oltre che con il podcast, lo fa tramite l’account Instagram Archeostoryteller. E lo fa in modo divertente ma sempre molto competente. Rende accessibile la storia remota, racconta le piccole storie che si celano nelle pieghe delle grandi vicende, quelle rimaste incrostate in fondo ai vasi antichi, tra le tessere dei mosaici, nei palazzi di cui restano poco più che ruderi e racconti. Fa lo stesso in questo libro, Omero in ascensore.
Omero in ascensore di Theodoros Papakostas, Crocetti 2023 trad. Elisabetta Garieri
Il presupposto: due persone, tra cui l’autore, rimangono bloccate dentro un ascensore e quel tempo sospeso diventa lo spazio per raccontare la storia greca. Si parte da molto lontano, tuffandosi nella preistoria per procedere poi, era dopo era, con l’atteggiamento scanzonato ma mai superficiale di Papakostas che definisce se stesso un archeologo pop.
E in effetti è vero perché consegna al grande pubblico di non specialisti conoscenze che spesso sono relegate all’ambito di studio di chi si occupa di archeologia. Ma l’archeologia può essere anche molto avventurosa e appassionante, oltre a insegnarci chi eravamo e come siamo arrivati a diventare chi siamo.
Le domande filosofiche sono sullo sfondo, qui si parla soprattutto di cose molto concrete e quotidiane: cosa portava con sé nel bagaglio una principessa minoica che si recava in Egitto? Che faceva nel suo tempo libero un dipendente dell’amministrazione micenea? Come fu che uno schiavo straniero fece fortuna? E perché Eraclito voleva schiaffeggiare Omero?
Dentro l’ascensore l’intero racconto non ci sta, ma entra agevolmente nella nostra immaginazione, assai più spaziosa. I capitoli sono semi da cui far germogliare la pianta della curiosità. Questo suggerisce l’autore e mi sembra il messaggio più bello del libro. Perciò mi piace Papakostas: apre spazi, punta la luce, ti fa appassionare.
Lo ammetto, in alcuni momenti ho trovato un po’ fastidioso l’atteggiamento saccente dell’archeologo che si pone verso l’interlocutore con il piglio del “te lo spiego io, poverino”, ma in fondo i due personaggi sono funzionali al racconto, figure che hanno lo scopo di avviare le storie e lasciare che prendano vita, non sappiamo null’altro di loro. E poi se segui Archeostoryteller su IG ti accorgi che questo contegno un po’ compiaciuto fa parte del carattere dell’autore e in fondo – incredibile ma vero – è quello che ce lo rende simpatico.
La foto di apertura è di di Dim Hou/Unsplash
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