Nuovo appuntamento con la serie Leggere la Grecia e un libro che parla a tutte le epoche perché ogni epoca deve fare i conti con il pericolo delle derive del potere, l’erosione della politica, la trasformazione dell’autorevolezza istituzionale in autorità priva di argini, fino a sfociare nel totalitarismo. Lo sbaglio di Antonis Samarakis parla proprio di questo ed è quanto mai attuale benché uscito nel 1965.
Lo sbaglio di Antonis Samarakis, Aiora 2018 trad. Maurizio De Rosa
Tra quando questo libro è entrato nella libreria e il momento in cui l’ho letto è passato qualche anno. Il motivo è quello che spesso mi induce a desistere anziché invogliarmi, cioè il paragone. Mi avevano detto che questo libro ricordava 1984 di Orwell. No. La sola cosa in comune che hanno è che affrontano il tema del potere.
Samarakis parla di dittatura, stato di polizia e assurdità del regime ma senza dire dove, quando, come. E lo fa dal punto di vista dell’errore, dell’anomalia che fa saltare il congegno e lo svuota di senso, anzi ne mostra il nonsense. Tutto rimane astratto, surreale e forse per questo più potente. Potrebbe essere ovunque, in qualunque epoca. Anche in Italia, ora.
Il romanzo è stato adattato sia per il cinema che per la tv. Io ho visto il film con Tognazzi e Piccoli e musiche di Morricone su soggetto dello stesso Samarakis ma ambientato negli anni della dittatura dei colonnelli. L’autore invece scrisse il libro dopo aver subito in prima persona la prigionia e una condanna a morte – a cui riuscì a sfuggire – durante la dittatura di Metaxas. Il libro uscì nel 1965 con la dittatura dei colonnelli ancora da venire: sarebbe cominciata nel 1967 per terminare nel sangue del Politecnico e a seguito del disastro di Cipro nel 1974. A posteriori fu definito profetico.
Travestito da libro poliziesco con venature thriller, il romanzo segue personaggi senza nome che si muovono in un paese dominato da un regime autoritario. A distinguerli unicamente l’essere a favore o contro il regime. Il focus è su due poliziotti incaricati di catturare e trasferire un oppositore e indurlo alla confessione.
Durante il viaggio le posizioni dei personaggi si spostano, quasi impercettibilmente ma in modo sostanziale. Cresce intorno alla vicenda una foresta di domande su cosa sia il potere e come si eserciti, sull’obbedienza cieca, le assurdità dei meccanismi del comando, la relazione tra chi perpetra un abuso e chi lo subisce, la sopravvivenza dell’istinto alla libertà.
La narrazione è talmente rarefatta da risultare disturbante ma è un effetto voluto. Poi arriva il plot twist che ribalta le cose. Il piano del regime per condurre l’oppositore all’annichilimento è apparentemente perfetto ma il fattore umano si insinua nelle pieghe del potere disumano e della sua arroganza e determina lo sbaglio che fa crollare il castello di carte.
La foto di apertura è di di Dim Hou/Unsplash
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